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Parru cu ttia,
to è la curpa;
cu ttia,
mmenzu sta fudda
chi fai l'indifferenti […]
(Parlo con te, /
tua è la colpa; / con te, / in mezzo a questa folla / che fai l’indifferente
[…]
Memorabile
l’atto d’accusa di Ignazio Buttitta; un’accusa senza spazio e senza tempo che
sempre brucia l’indifferenza di ciascuno di noi (fa bene, di tanto in tanto,
rileggere questo capolavoro!).
Certo, non è
facile evitare di sbagliare, poiché chi sceglie è sempre convinto d’essere nel
giusto.
Tuttavia la
domanda ritorna sempre prepotente: di chi la colpa? Tua, mia, nostra … non c’è
alcun dubbio!
Incapaci di
reagire nel modo giusto, abbiamo legittimato, col nostro voto, le politiche più
scellerate che nessun altro paese avrebbe mai tollerato, se solo si pensi a
Craxi e al suo amico Berlusconi, passando per “Tangentopoli”, fino ad arrivare
a Di Pietro e a Grillo, emblemi fasulli dell’anti tutto e dell’anti niente. E
gl’Italiani ci sono (ci siamo) ogni volta cascati.
Ma per fortuna,
pare -e sottolineo pare- che finalmente il confuso, distruttivo
sentimento contro tutto e tutti (in gran parte giustificato, ma abilmente utilizzato,
manipolato e interpretato dal populista di turno), stia finalmente cedendo il passo
ai provvedimenti concreti innescati dall’attuale governo. Ce lo conferma
soprattutto un segnale: il recente sviluppo che sta concretizzandosi con la nomina
del magistrato Raffaele Cantone a commissario nazionale contro il dilagante
fenomeno della corruzione. Quanto mai opportuna e necessaria, a tal proposito, la
perentoria richiesta dello stesso magistrato (in relazione alla legge in
discussione) sul reale potere di intervento contro il dilagante fenomeno. Queste
non sono battute comiche sotto le stelle, ma atti precisi, che discendono da
una reale volontà di affrontare seriamente il problema. Le prossime settimane ci
confermeranno se questa volontà sia effettiva o propagandistica, nonostante il
rassicurante profilo del magistrato Cantone, unitamente all’azione lucida e
meritoria che la magistratura nel suo complesso sta già portando avanti.
Da oltre un anno,
nel mio piccolo (ciascuno fa la propria parte!), vado ripetendo, in sostanziale
solitudine all’interno della vasta cerchia dei miei amici (non solo di Facebook),
che il vero grande problema dell’Italia odierna non è lo stipendio dei
parlamentari, come ci è stato ossessivamente ripetuto in tutte le salse e in tutte
le sceneggiate sia di piazza che parlamentari, ma, piuttosto, è la CORRUZIONE la
vera emergenza, con tutti gli abusi, i privilegi e le varie ruberie che molti
politici-parlamentari si portano dietro con la loro nauseante condotta. Va da
sé che, nell’indistinto attacco quotidiano di Grillo, tutti i parlamentari e i
politici sarebbero ladri e farabutti, ma sappiamo bene (lui per primo non ci
crede) che così non è. E per dirlo e farlo entrare meglio nella nostra testa,
ha deciso con disinvoltura (dopo mesi e mesi di dare addosso a chi superava il
confine del web per approdare in TV), di virare verso la vituperate telecamere
(oggi di Vespa, domani di Santoro e Travaglio), tanto sa bene che gli italiani
hanno la memoria più corta al mondo.
Scrive Michele
Serra sul Venerdì di Repubblica del 9
maggio: «Non condivido “l’umore di
fondo” sospettoso, complottista, maldicente che troppo spesso trapela dai
grillini. Se tutto è sporco, tutto è casta, tutto è complotto, allora prevale
uno “sguardo basso” sulle cose del mondo che non ha niente di rivoluzionario.
Le rivoluzioni hanno sempre lo sguardo alto».
E più avanti aggiunge e conclude: «[…] Non gli ho mai
sentito esprimere un dubbio. Sputa sentenze su tutto (Renzi al confronto è un
caca dubbi), è di una presunzione patologica. Essergli stato amico per anni, e
avere lavorato con lui, non mi esime dal dovere di dire che cosa penso della
sua cultura politica: ne penso tutto il male possibile, penso che la sicumera e
l’aggressività siano un segno di insicurezza, non di valore e di nobiltà.
Grillo è un prodigioso catalizzatore del rancore. Basta per essere un
capopopolo. Ma per essere un capo rivoluzionario, bisogna saper catalizzare
anche la virtù».
La CORRUZIONE è, innanzitutto, una malattia dell’anima; un
male che, oggi come non mai, si è sedimentato in sub-cultura, e da questo in un nuovo modo di intendere la
vita che non è vita, ma sub-vita, sub-lingua,
sub-politica, sub-scuola … sub tutto, insomma, e in cui denaro e donne da
“consumare” assurgono a feticci unici e insostituibili. Dunque un degrado umano,
morale e collettivo che permea ormai ogni settore e piega della società. In
questa degenerazione mentale e culturale, trova terreno fertile e s’innesta
nella politica la mala pianta della malavita. Ma attenzione, senza più la
vecchia intermediazione mafiosa; senza necessità di referenti esterni; senza
più terminali mafiosi. Infatti sono le
stesse mafie (dei colletti bianchi e meno bianchi) che si sono direttamente
insediate nei gangli istituzionali del potere politico ed economico, disarticolando
la democrazia, alterando i rapporti. Il pericolo, in pratica (la questione
morale), intravisto e denunciato trent’anni fa da Enrico Berlinguer.
Non dico che la
corruzione sia nata oggi, ma dico solo che la particolare mutazione
politico-culturale di cui parlo, è avvenuta dopo “Tangentopoli” (e qui sta la
differenza con la fase attuale), cioè negli ultimi 20 anni, in coincidenza con
la salita al potere (democraticamente legittimata dal “Popolo Sovrano”) del modus facendi berlusconiano. È inutile negarlo,
ma è come se, a un certo punto della nostra storia nazionale, si fossero rotti
gli argini inibitori. Un imprenditore, oggi in carcere in seguito all’inchiesta
EXPO, ce ne dà clamorosa conferma con le sue dichiarazioni sul ventennio
berlusconiano (in cui molti, in buona fede, hanno creduto, così come in molti,
ora, credono in Grillo. Ma, d’altro canto, non è facile, stando così le cose,
sottrarsi al suo urlo).
Un cancro
talmente invasivo, quello della corruzione, che il solo arginarlo -ripeto,
arginarlo-, sarebbe già un grande successo per ridare ossigeno e speranza alla
ripresa economica e morale delle nostre popolazioni.
E così, mentre
Grillo sbraita dai palchi sempre più spalmati di retorica populista imbottita della
peggiore volgarità, Matteo Renzi (che mi sto sforzando di rivalutare) risponde con
atti concreti alle litanie distruttive e ai trionfalismi infantili dei sondaggi
elettorali (il frasario di questo personaggio, il piglio e l’occhio vitreo,
sono ormai comune patrimonio del popolo che lo segue). E così, mentre un gruppo
di persone, giovani e meno giovani (governo), cercano, fra mille insidie e contraddizioni,
di dare risposte all’Italia che soffre (lavoro, giustizia sociale, scuole,
investimenti, bonus ai lavoratori, ecc.), i primi volteggiano e irridono sadicamente,
e pure fischiano il Tricolore, in perfetta sincronia coi loro parenti leghisti.
Ma, ritornando
alla corruzione. Non basta, come dice Renzi, la “interdizione a vita” dai
pubblici uffici dei politici corrotti. So benissimo che lui intende dire altro,
ma bisogna essere ancora più chiari e concedergli altra fiducia, finché se la
merita. È necessario allora: a) rivedere
al rialzo le pene detentive (che siano certe ed effettive, almeno raddoppiate,
se non triplicate rispetto alle attuali); b)
abolizione secca (cioè nessun voto di autorizzazione all’arresto da parte del
Parlamento) della immunità parlamentare, giustamente pensata e voluta dai
nostri Padri costituzionali per i soli reati di opinione (e non di altri
misfatti) nell’esercizio delle funzioni proprie dei parlamentari; c)
reali poteri all’Autorità di controllo e prevenzione (Cantone).
Su questo, se ci
crediamo sul serio, va indirizzata in modo martellante e durevole, nelle
forme e nei modi dovuti, la pressione
democratica in tutte le sedi e circostanze. Su questo bisogna mettere alla
prova le componenti partitiche che ci rappresentano nel Parlamento italiano
(pretenderlo dal basso, ciascuno nell’ambito della propria appartenenza politica).
Solo così,
l’Italia, potrà iniziare un nuovo percorso, facendo a meno dell’urlo invasato del
comico di turno.
Giuseppe Rufffino
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