Questo pomeriggio (venerdì 30/5), come già
ampiamente preannunciato, si svolgerà la cerimonia per intitolare a tre
illustri personaggi del nostro paese altrettante vie del centro abitato.
In genere (almeno per me) si tratta di eventi
piuttosto di routine, ma nel caso di Vincenzo Lo Piccolo (Patrìcola) la
cosa è un po’ diversa per le immagini e le atmosfere che la sua particolare
taratura di uomo e di politico riesce ancor oggi ad evocarmi.
Non si può non ricordare Vincenzo Lo Piccolo o, meglio,
nelle sue diverse varianti di “don Vicienzu”, “Patrìcola”, “Vicienzu Patrìcula”,
“don Vicienzu Patrìcula”. Come potete constatare, almeno quattro diverse
modalità di “chiamate”. Erano questi i modi di indicarlo o di avviare con lui
un qualsiasi discorso. Anche questo aspetto, diciamo così, sociolinguistico,
rientrava nel personaggio.
Forse non mi capitò mai, negli anni in cui fu all’apice
della politica terrasinese, di rivolgergli la parola: ero ancora troppo
giovane, agli inizi della mia militanza politica, su un fronte diametralmente opposto
al suo. Mondi e orizzonti, i nostri, del tutto differenti: lui, non di origine
marinara, fattosi “Marineria” esso stesso. Io, ancora oggi, incapace di entrare
in sintonia con quella difficile realtà che, tuttavia, fin d’allora mi
attraeva.
Ed è singolare che sia proprio uno come me a
doverlo oggi ricordare nel modo pubblico in cui ciò sta avvenendo. Eppure,
nonostante tutto, mi sembra giusto ricordare (proprio io che non “amavo” i
democristiani) il Vincenzo Lo Piccolo che non mancò di inquietarmi ed
incuriosirmi con quei tratti di autentico capopopolo, pubblicamente e
sfacciatamente passionale; una specie di mattatore politico con l’esuberante
fazzolettone che perennemente gli fuoriusciva dal taschino della giacca e che, durante
i vulcanici comizi, di tanto in tanto tirava fuori per asciugarsi le lacrime (vi
garantisco, erano sincere!); il buon padre che abbracciava con ardore i suoi “figli”
pescatori a loro volta piangenti; il gigante buono, pronto a strapparsi il
cuore per i suoi elettori (per la verità disponibile con tutti), ma anche
capace di ridurre in cenere col solo sguardo l’avversario fazioso.
Oggi, a distanza di tantissimi anni e, soprattutto,
al cospetto dell’odierna mediocrità umana e politica, non posso non invitare
tutti coloro che gli furono sinceri amici o fieri nemici, a una rilettura più
distaccata della sua personalità e del suo agire.
Qualcuno, un “misino”, uno di quelli di Almirante, “calato”
da Palermo, lo definì, in un memorabile comizio, il ras di Terrasini; i
comunisti, un demagogo senza limiti; i nemici interni alla D.c., una mina
vagante da disinnescare. Finì che fu lui, invece, con la quarta elementare in
tasca, a umiliare tutti, avversari interni ed esterni, anche quelli con la
laurea incorniciata. E avevano ragione di temerlo poiché fu l’unico, nella
storia, a tramortire l’onnipotente “Balena Bianca” terrasinese per dimostrare
che senza di lui, quella “balena”, sarebbe finita capovolta in una spiaggia.
Si può dire tutto e il contrario di tutto di lui,
ma, al di là di ogni altra considerazione, un dato è certo: non si sottrasse
mai alle proprie responsabilità, non si arrese mai dinanzi alle difficoltà
amministrative, né mai si risparmiò dinanzi alle richieste del “suo” popolo
marinaro, e sempre si rifiutò di esporre sulla porta del Municipio i giorni di
ricevimento dei cittadini.
Populismo? Può darsi.
Certo -si
dirà- erano altri tempi, altri modi di
amministrare, altre norme, altre urgenze …
È possibile, ma la taratura del personaggio era
quella che era, rispetto alla quale reggono poco i “se”, i “ma” … i “tempi”.
giuru
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